Photographic project in collaboration with Jessica Soffiati.
In tempi d’isolamento preventivo, ci ritroviamo bloccati in un motivo infinito. Il mangiare, il riposare, il pulire diventano le attività per scandire il tempo dell’abitare la propria casa: le giornate, i minuti si trasformano in una fantasia infinita, un pattern di azioni che modificano gli spazi dove risiediamo.
Provando a soppiantare il continuo sentimento di noia, senso di distacco dal mondo circostante, ci ritroviamo obbligati in una sorta di contemplazione della semplicità. La noia diventa malattia borghese degli oggetti, relazione viscerale con le cose che costruisce monumenti ironici in cui la noia si mostra nel caos e nella ripetizione: composizioni informali di oggetti che ripercorrono i titoli di testa infiniti della routine quotidiana e ci riconnettono con la nostra intimità.
During these days of self-isolation, we are stuck in a repeating pattern. Eating, resting, cleaning are the activities to beat the time of living our houses: the day and minutes become an endless motif; a patter of actions which modifies the spaces where we live in.
We find ourselves obliged in a sort of contemplation of simplicity trying to overcome the continuous boredom feeling – sense of detachment from the outside world. Boredom becomes middle-class obsession for the objects. Visceral relationship with things which builds ironic monument in which boredom shows itself in chaos and repetition: informal composition of objects which retraces the opening credits of our daily routines and reconnects us with our intimacy.
Credits: Jessica Soffiati
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